C’è già chi l’ha definita la “più grande truffa della Silicon Valley”. Le cifre non sono ancora chiare, ma quella che sta emergendo nel processo che si è aperto all’inizio della settimana in un’aula di tribunale a San Josè, in California, è una storia d’inganni e false promesse, in un campo fra l’altro molto delicato, quello della sanità.
La protagonista della vicenda è Elizabeth Holmes, 37 anni, fondatrice e titolare della startup “Theranos” nata nel 2003, e capace di raccogliere 700 milioni di dollari di investimenti con una valutazione di 9 miliardi, promettendo un sistema rivoluzionario che avrebbe consentito di eseguire test diagnostici per una serie di patologie anche molto gravi, dal cancro all’Aids, prelevando una sola goccia di sangue, che sarebbe stata analizzata ovunque, nelle farmacie, ma anche nelle stazioni o nei centri commerciali, grazie a un macchinario innovativo e dalle dimensioni ridotte.
Una carriera folgorante per Elizabeth Holmes, che aveva deciso di lasciare l’università per fondare la sua impresa, raccogliendo finanziamenti anche dal gotha del mondo finanziario americano, tanto da essere paragonata a fenomeni come il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.
Tutto molto bello, se non fosse che in 18 anni la rivoluzionaria tecnologia non è mai arrivata sul mercato. Le apparecchiature avrebbero avuto problemi tecnici insormontabili: gli unici test offerti al pubblico venivano in realtà effettuati con normalissimi macchinari e inviati ai tradizionali laboratori, e i pochi risultati ottenuti con il sistema Theranos originale si rivelavano inaffidabili.
Nonostante le pressioni esercitate dalla fondatrice sul personale per mantenere il riserbo, la verità è venuta a galla grazie alle rivelazioni due dipendenti e a un'inchiesat del Wall Street Journal: Theranos era in realtà una scatola vuota ed Elizabeth Holmes ora deve affrontare un processo per frode. La fondatrice, che rischia fino a vent’anni di carcere, si è dichiarata innocente, affermando che la gestione tecnica dell’azienda era responsabilità del suo compagno, Ramesh Balwani, ma a supportare l’accusa ci sono più di 140 testimoni.
Storia giudiziaria a parte, la vicenda ha anche messo in luce, ancora una volta, i dubbi sulla capacità critica e sull’etica degli investitori di Wall Street, che all’epoca non si erano chiesti come avesse fatto una giovane non laureata di 19 anni ideare il sistema su cui si basava la startup biomedicale miliardaria, e che avevano investito senza evidentemente esaminare a fondo prodotti e piano industriale.
Alessandro Martegani