È stata ed è tutt’ora una delle icone della storia dell’arte e della cultura della Grecia antica: quasi tutti, aprendo un testo scolastico sull’argomento, si sono imbattuti nella maschera di Agamennone, una maschera funeraria ricavata da un’unica lamina d’oro, attribuita al comandante degli Achei nella guerra di Troia, ma quel capolavoro dell’arte della Grecia antica potrebbe essere un clamoroso falso.
Secondo la versione ufficiale la maschera venne rinvenuta nel 1876 a Micene dall’archeologo tedesco Heinrich Schliemann, una delle figure più importanti del mondo dell'archeologia del diciannovesimo secolo, diventato celebre per la scoperta delle rovine della città di Troia e del cosiddetto tesoro di Priamo, e del quale fra l’altro lo scorso 6 gennaio è stato celebrato il bicentenario dalla nascita.
Un personaggio noto, che però evidentemente era anche un burlone, perché secondo tesi sempre più consistenti la maschera potrebbe essere una sorta di scherzo dello stesso archeologo. Il manufatto assomiglia in maniera sospetta allo stesso Schliemann: finora nessuno sembrava aver realizzato che il personaggio raffigurato nella maschera, attualmente conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene, ha un bel paio di baffi all’insù, secondo la moda centroeuropea dell’800, ed è molto diversa da altri oggetti analoghi ritrovati dallo stesso archeologo in tombe nella stessa zona.
C’è quindi chi, come Lorenzo Nigro, professore dell’Università La Sapienza di Roma intervistato dal quotidiano Libero, sostiene che la maschera di Agamennone “potrebbe essere una sorta di gigantesca burla, dello stesso Schliemann. Il mistero si potrebbe risolvere con un’analisi del metallo, ma finora il Consiglio archeologico greco ha sempre rifiutato di far eseguire qualsiasi esame sul metallo per stabilirne l’antichità.
Non sarebbe fra l’altro la prima volta in cui critici d’arte ed esponenti prendono clamorose cantonate e cadono vittime di clamorosi scherzi. Quello più famoso in Italia fu quello dei “faccioni” di Modigliani, sculture ritrovate nel 1984 sul fondo del Fosso Reale di Livorno, dove secondo la tradizione lo scultore aveva gettato alcune sue opere. Dai dragaggi saltarono fuori delle facce scolpite, che storici dell’arte di primo piano ed esperti avevano attribuito senza dubbi ed esitazioni all’artista livornese, venendo però messi in ridicolo pochi giorni dopo, quando tre studenti rivelarono, con tanto di documentazione fotografica, di aver scolpito una delle teste e averla gettata nel Fosso per fare uno scherzo. I ragazzi vennero anche invitati in televisione in prima serata, ripetendo dal vivo la realizzazione davanti ad oltre dieci milioni di telespettatori.
Alessandro Martegani