Vissuto un secolo prima del non meno illustre nipote - omonimo e vescovo - , Pier Paolo Vergerio il Vecchio, nato a Capodistria nel 1370, attivo tra Firenze, Bologna e Padova e poi a Roma nella curia pontificia, infine in Boemia e Ungheria a servizio dell'imperatore Sigismondo è ricordato nella storia della cultura italiana come uno dei protagonisti dell'Umanesimo civile, primo umanista di area veneta e maggiore autore istriano del suo tempo. Ci restano di lui varie opere, su tutte il trattatello del 1402 "De ingenuis moribus" (ossia "I nobili costumi"), manifesto della nuova pedagogia dell'Umanesimo, in cui è posto l'accento sul valore formativo degli studi liberali. Dedicato al giovane Ubertino da Carrara, figlio di Francesco Novello ultimo signore di Padova, di cui Vergerio era stato - pare - precettore, il trattato ebbe da subito uno straordinario successo, tanto da essere copiato in un gran numero di manoscritti e pubblicato in decine di edizioni a stampa. Alessandra Favero, nel suo libro "Educare a governare", edito dalla Società di studi storici e geografici di Pirano e già tesi di dottorato all'Università di Trieste, ha preso in esame la circolazione dell'opera all'interno di una raccolta pedagogica miscellanea del tempo che ebbe grande fortuna. Ieri l'autrice era a Capodistria per accompagnare la presentazione del volume, dove uno spazio è dedicato anche ad un incunabolo del "De ingenuis moribus" conservato presso la Biblioteca centrale cittadina. "Cosa mi ha colpita del pensiero pedagogico di Vergerio? Due cose, la centralità della virtù, per cui chi si dedica agli studi deve raggiungere la virtù, imparare a distinguere il bene dal male. E che la virtù è ciò che devono possedere in primo luogo coloro che governano, perché il principe fonda la validità del proprio potere sulla bontà e l'onestà della propria persona".
Ornella Rossetto