"Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal nomignolo".
Difficile sbagliare: è l'incipit del più famoso romanzo di Giovanni Verga, un'opera che quando uscì nel 1881 fu accolta freddamente dalla critica, ma destinata in seguito ad essere riconosciuta, insieme ai Promessi sposi di Manzoni, come il maggiore contributo italiano alla grande stagione del romanzo europeo. I Malavoglia e Mastro don Gesualdo, l'altro volume del ciclo incompiuto dei Vinti, li conosciamo tutti, per averli studiati e letti almeno un po' a scuola. Ma oggi possono parlarci ancora? È possibile proporre, specialmente ai giovani, un'attualità di Verga? " Direi di sì, senza dubbio", risponde il critico Luigi Tassoni, che su Radio Capodistria cura la rubrica Leggio. "Proviamo a leggere lo scrittore con delle lenti di lettura più moderne, alla luce - anche - della tanta letteratura che è venuta dopo Verga, e vedremo che in fondo Verga non è molto distante - lo dico paradossalmente - da autori come Coldwell, così tanto consacrati dai lettori e dalla critica. Non leggiamo i Malavoglia, Mastro don Gesualdo e le straordinarie novelle come una storia di sconfitte, ma come una progressiva disgregazione, attraverso cui l'individualità, l'arroganza e la violenza, che producono solitudine, parlano chiaramente al mondo di oggi".
Un altro punto di forza dello scrittore verista siciliano morto cent'anni fa è la lingua, aspetto sempre problematico quando si parla dei nostri autori del passato. Non in Verga. "Quindi", conclude il critico, "che i giovani lo rileggano, perché la sua è una prosa leggibile, non così difficile e astrusa come comunemente si potrebbe pensare".
In occasione del centenario verghiano, tante le iniziative in Italia e all'estero, anche la diffusione di nuovi titoli in digitale dell'Edizione Nazionale delle opere da parte della Fondazione Verga di Catania.