"Dicono che per metà della vita un figlio si sforzi di diventare come il padre, mentre per l'altra metà fa di tutto pur di non somigliargli e di cancellarlo dal proprio Dna."
Così riflette il protagonista e voce narrante di "Ritorno a Kappazero", nuovo e avvincente romanzo di Aljoša Curavić.
Messi da parte i temi della frontiera, l'autore ci racconta questa volta una storia intima come il rapporto conflittuale tra un padre e una figlio: un figlio che suo malgrado assomiglia sempre di più al padre, "da cui invece vorrebbe essere radicalmente diverso". Una storia che ha inizio in una piccola isola della Dalmazia dove il quasi novantenne genitore - assai vitale nonostante l'età - è nato, e a cui è rimasto visceralmente legato. Sarà appunto durante un viaggio sull'isola, che Isacco, questo il nome del figlio - nome biblico e nome simbolico - , brillante avvocato divorzista cresciuto a New York dove la famiglia è emigrata dopo la guerra, verrà colpito da un proiettile vagante che lo costringerà per sempre su una sedia a rotelle.
Dice a proposito del suo romanzo Aljoša Curavić: "È un continuo confronto tra il figlio e il padre, il figlio che si sente attratto dalla vitalità di questo vecchio uomo ma che allo stesso tempo lo odia, perché quella vitalità lo porta a trascurare anche beni primari dell'essere umano, come la cura della famiglia".
Parte della vicenda è ambientata a Trieste, "città bianca" e "città nera". "Trieste io la vedo bianca nella sua scenografia, e nei suoi palazzi di bellissima città mitteleuropea ma già mediterranea; e nera perché nasconde una storia molto complessa e travagliata".
Romanzo a tratti spietato e dai toni crudi, ma allo stesso tempo sorridente e ironico, e in cui non mancano i colpi di scena, "Ritorno a Kappazero" ha qualche accento autobiografico. L'isola del titolo è Crappano, l'isola dei pescatori di spugne di fronte a Sebenico "dov'è nato mio padre. Ma le coincidenze si fermano qui".