Sono, quest'anno, sei secoli dallo Statuto di Capodistria del 1423, non il più antico di cui sia abbia notizia (che data al 1239) ma il più antico che ci sia pervenuto e che rimase in vigore, con varie integrazioni e aggiunte, fino alla caduta della Serenissima, che già a fine Duecento aveva conquistato sulla città il pieno potere.
Del documento, fondamento dell'autonomia comunale in età veneta, redatto in lingua latina, si conservano due copie, grosso modo coeve alla sua approvazione da parte del doge Tommaso Mocenigo: l'una, un tempo nell'Archivio municipale di Capodistria, si trova oggi a Venezia, l'altra all'Archivio di Stato di Fiume. Proprio il codice fiumano, ritrovato ai primi del Novecento fra le carte della Biblioteca comunale di Parenzo, è ora al centro della mostra documentaria voluta dall'Archivio regionale e inaugurata dal sindaco Aleš Bržan negli spazi della Loggia vecchia del Palazzo pretorio. Grazie a una serie di pannelli informativi vengono illustrate importanza e caratteristiche dello statuto, fonte preziosa della storia giuridica. Al contrario delle altre cittadine dell'Istria veneta, a Capodistria il podestà deliberava autonomamente in materia di diritto penale, perciò lo statuto del 1423 contempla quasi unicamente le norme del diritto civile. Un capitolo dell'esposizione è inoltre dedicato alle vicende dell'archivio antico di Capodistria "tra perdita e oblio": com'è noto, l'importante fondo archivistico fu trasferito a Venezia nel 1944 a seguito degli eventi bellici ed è oggi patrimonio dell'Archivio di Stato della città lagunare, dov'è tornato accessibile agli studiosi da pochissimo (2017).
In concomitanza con la mostra, il manoscritto parentino-fiumano dello statuto, giunto in prestito dal capoluogo quarnerino, è a sua volta esposto al pubblico nella sede dell'Archivio regionale fino alla fine di aprile.