Non c'è pace per la situazione politica in Macedonia del nord: il paese è ancora una volta nel mezzo di una profonda crisi, generata dai deludenti risultati dei socialdemocratici al governo alle recenti elezioni amministrative.
Dopo la sconfitta, lo scorso 30 ottobre il premier Zoran Zaev ha annunciato le dimissioni, chiedendo però che l'esecutivo continuasse a lavorare per tenere vive le speranze di aprire i negoziati di adesione all'Unione europea, oggi bloccati dal veto della vicina Bulgaria.
La mossa di Zaev è stata però subito osteggiata dall'opposizione, guidata dal centro destra della VMRO, che ha tentato più volte di imporre un voto di sfiducia nel parlamento di Skopje. L'atmosfera si è fatta sempre più tesa, fino a raggiungere il culmine della tensione giovedì scorso, quando la VMRO ha annunciato di aver raccolto le adesioni di 61 deputati su 120 per far cadere il governo.
All'ultimo minuto, però, uno dei deputati coinvolti - membro di BESA, piccolo partito della minoranza albanese - ha comunicato di aver cambiato idea e non si è presentato in aula, facendo così cadere l'iniziativa dell'opposizione.
Di fatto, siamo oggi di fronte ad un vero e proprio stallo, con i due principali blocchi politici che si equivalgono, e senza una chiara via d'uscita all'attuale crisi politica. Una situazione pesante, visto che la Macedonia del nord ha appena annunciato lo stato di crisi energetica dovuto a ridotte capacità produttive e all'aumento dei prezzi delle materie prime, mentre la situazione sanitaria sul Covid-19 resta preoccupante.
Francesco Martino