Zero: è questo il numero dei capitoli aperti nel 2020 dalla Serbia nei negoziati di adesione all'Unione europea. Un risultato deludente per chi sperava in un processo di avvicinamento più rapido del paese, considerato un pezzo fondamentale della futura integrazione dei Balcani occidentali nell'Ue.
Il vistoso rallentamento, però, non è frutto del caso: secondo il rapporteur per la Serbia al parlamento europeo, lo slovacco Vladimír Bilčík, la mancata apertura di nuovi capitoli negoziali è anzi un segnale eloquente.
Intervistato dall'emittente regionale N1, Bilčík ha dichiarato che oggi è impossibile progredire nei negoziati "in mancanza di passi in avanti su stato di diritto, lotta alla corruzione e riforme istituzionali".
Una delle critiche più dure arriva sul fronte della formazione di un governo e degli organi parlamentari, che non sembra però essere nelle priorità del presidente Aleksandar Vučić, nonostante siano passati tre mesi dalle elezioni politiche di giugno che hanno visto il suo Partito Progressista trionfare, anche a causa del boicottaggio di buona parte dell'opposizione.
Al momento la Serbia ha aperto diciotto dei trentacinque capitoli negoziali complessivi, chiudendone invece appena due. Fin dall'inizio del processo, gli occhi sono stati puntati sul capitolo "speciale", il trentacinque appunto, che riguarda gli irrisolti rapporti con il Kosovo.
Il vero problema al momento, però, sembra essere il carattere sempre più autoritario del sistema politico costruito da Vučić, accusato di aver ridotto i processi democratici a una pura formalità: l'ingresso della Serbia nel 2025, più volte indicato da Bruxelles come obiettivo possibile, appare oggi ormai soltanto come una chimera.
Francesco Martino