Gli avvocati di Assange hanno argomentato durante l'udienza che le garanzie fornite dagli Stati Uniti sulla tutela della libertà di stampa sono "palesemente inadeguate". Diverse decine di manifestanti si sono radunati con striscioni e cartelloni fuori dal palazzo di giustizia, applaudendo la decisione presa e vedendola come una vittoria per la libertà d'informazione. Hanno definito l'intero processo una farsa e una vendetta nei confronti del giornalista. Assange non ha presenziato all'udienza a causa delle sue condizioni di salute precarie e continua a rimanere in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, a Londra. Già a marzo, due giudici avevano rinviato la decisione sulla possibilità che Assange, che cerca di evitare l'estradizione negli Stati Uniti, potesse portare il suo caso a un'altra udienza di appello. La difesa non ha contestato le garanzie riguardanti la pena di morte. Kristinn Hrafnsson, giornalista d'inchiesta e sostenitore dell'uomo, ha affermato che le autorità statunitensi si sono limitate a dichiarare che l'attivista potrà "chiedere" di appellarsi al Primo Emendamento, ma spetterà a una Corte americana decidere se concederlo o meno. È importante ricordare che Assange è stato incriminato con 18 accuse di spionaggio e un'accusa di uso improprio del computer per aver pubblicato una serie di documenti americani riservati sul sito Wikileaks riguardanti crimini commessi dai soldati statunitensi in Iraq e Afghanistan. I Pubblici ministeri ritengono che il cinquantaduenne abbia incoraggiato e aiutato l'analista dell'intelligence dell'esercito Chelsea Manning a rubare dispacci diplomatici e file militari, mettendo così a rischio innumerevoli vite umane e la sicurezza nazionale. La "vittoria" di oggi non è ancora ufficialmente confermata, ma riaccende la speranza di un esito favorevole per il giornalista australiano. Se l'appello dovesse fallire, tuttavia, Assange rischierebbe l'estradizione immediata negli Stati Uniti e 175 anni di carcere.
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