L'Europa non può interdire il finanziamento dell'aborto, né nella Ue né nei suoi programmi di aiuto allo sviluppo nei paesi terzi, come non può vietare le attività che implicano la distruzione di embrioni umani. Con questa decisione il Tribunale di Giustizia del Lussemburgo assesta la seconda e forse definitiva sconfitta all'iniziativa "Uno di Noi" promossa dal e ProLife, tra gli altri.
L'iniziativa popolare "Uno di noi"
Queste associazioni, assieme ad altre organizzazioni ultracattoliche di altri Stati membri, aveva lanciato nel 2012 l’iniziativa dei cittadini europei intitolata "Uno di noi", raggiungendo, prima nella Ue, il milione di firme necessario per chiedere alla Commissione di lanciare una proposta legislativa. In questo caso per vietare e porre fine al finanziamento, da parte dell’Unione, delle attività che implicano la distruzione di embrioni umani (in particolare nei settori della ricerca, dell’aiuto allo sviluppo e della sanità pubblica), ivi compreso il finanziamento diretto o indiretto dell’aborto.
Il 28 maggio 2014, dopo un'analisi durata 4 mesi, Bruxelles rispondeva picche, indicando in una comunicazione che non intendeva intraprendere alcuna azione. A quel punto i promotori di "Uno di noi" non si davano per vinti, chiedendo al Tribunale della Ue di annullare la decisione della Commissione. E qui arriva la seconda sconfitta, annunciata oggi dai giudici del Lussemburgo.
La sentenza del Tribunale del Lussemburgo
Per quanto riguarda il merito, il Tribunale rammenta che "i trattati hanno attribuito alla Commissione pressoché un monopolio in materia d’iniziativa legislativa" e quindi "l’esercizio del diritto d’iniziativa dei cittadini europei non può obbligare" Bruxelles "a presentare una proposta di atto giuridico".
Il Tribunale ritiene, inoltre, che la comunicazione della Commissione sia sufficientemente motivata. In particolare, il gabinetto Juncker ha osservato che, poiché le spese dell’Ue devono essere conformi ai trattati dell’Unione e alla Carta dei diritti fondamentali, il diritto comunitario "garantisce che tutta la spesa, compresa quella destinata ad attività di ricerca, cooperazione allo sviluppo e sanità pubblica, rispetti la dignità umana, il diritto alla vita e il diritto all’integrità della persona. La Commissione ha altresì spiegato che la vigente normativa dell’Unione risponde già a molte importanti richieste degli autori dell’iniziativa, nella fattispecie che l’Ue non finanzi la distruzione di embrioni umani e che istituisca controlli adeguati.
Infine, la Commissione ha affermato che il sostegno fornito dall’Unione nel settore medico-sanitario nei Paesi in via di sviluppo contribuisce in modo significativo a ridurre il numero di aborti mediante l’accesso a servizi sicuri ed efficienti e che un divieto di finanziamento dell’aborto praticato in Africa, America Latina ed Asia limiterebbe la capacità di realizzare gli obiettivi stabiliti in materia di cooperazione allo sviluppo, segnatamente quello relativo alla salute materna.
"Vietando l'aborto non si combatte la mortalità materna"
Per concludere, il Tribunale rileva che la Commissione non è incorsa in un errore manifesto di valutazione. Infatti, la Commissione non ha commesso un errore del genere allorché ha preso in considerazione il diritto alla vita e alla dignità umana degli embrioni umani prendendo al contempo in considerazione anche le esigenze della ricerca sulle cellule staminali, che può servire al trattamento di malattie attualmente incurabili o potenzialmente mortali, quali la malattia di Parkinson, il diabete, gli ictus, le malattie cardiovascolari e la cecità. Parimenti, la Commissione ha dimostrato il collegamento esistente tra gli aborti non sicuri e la mortalità materna, cosicché essa ha potuto concludere, senza commettere errori manifesti di valutazione, che il divieto di finanziamento dell’aborto ostacolerebbe la capacità dell’Unione di raggiungere l’obiettivo relativo alla riduzione della mortalità materna.
Articolo realizzato nell'ambito del progetto Europa.Today e con il finanziamento del Parlamento Ue