«Make Europe Great Again». L’Ungheria ricicla lo slogan elettorale di Donald Trump (citazione della campagna presidenziale del 1980 di Ronald Reagan), per inaugurare i suoi sei mesi alla guida del Consiglio dell’Unione europea. Il logo scelto per la presidenza ungherese, invece, assomiglia a un cubo di Rubik, inventato dall’omonimo architetto nato proprio nella capitale magiara nel 1944. Ciò che sta facendo più discutere, però, è lo slogan scelto dal governo di Orbán, che già in altre occasioni ha dimostrato un certo gusto per la provocazione. Un omaggio, chiaramente, all’ex-presidente americano, con il quale il premier magiaro ha sempre coltivato rapporti molto stretti e del quale non nasconde vedrebbe bene una presidenza bis.
Una dichiarazione di intenti, quella dell’Ungheria che dal 1° luglio 2024, nel pieno dei negoziati per le nomine dei vertici Ue, raccoglierà il testimone del Belgio e assumerà la presidenza del Consiglio fino alla fine dell'anno. Il programma della presidenza ungherese, fatto trapelare in questi giorni, prevede un impegno su questioni come «la migrazione illegale, la vulnerabilità dell’approvvigionamento internazionale, le catastrofi naturali, gli effetti del cambiamento climatico e l’impatto delle tendenze demografiche».
La presenza di Orbán alla guida dell’Unione europea fa tremare le vene dei polsi a più di uno a Bruxelles, dove con gli appuntamenti elettorali previsti in alcuni paesi europei nei prossimi mesi, si teme una virata a destra, facilitata anche da una possibile vittoria di Donald Trump. D’altronde in questi anni Orbán ha dimostrato ampliamente di essere un politico intelligente e scaltro che nelle sedi dell’Unione europea ha sempre giocato bene le sue carte, portando spesso a casa il risultato, nonostante le costanti violazioni dei diritti e i richiami. La paura è che se le condizioni lo permetteranno possa spingere anche gli altri paesi europei e le istituzioni dell'Unione Europa verso posizioni sempre più di estrema destra, vicine al modello che con successo ha sviluppato in Ungheria, quello della "democrazia illiberale".
Barbara Costamagna