“Tre giorni fa ci siamo incontrati con Calenda, ci siamo stretti la mano ed eravamo d'accordo poi due giorni dopo tutto è saltato, ma allora stringersi la mano non significa nulla?” Il rimpallo delle responsabilità fra il segretario del Partito Democratico, Enrico Letta, e il leader di Azione Carlo Calenda, non è un buon viatico per la riunione in corso a palazzo Montecitorio, dalla quale dovrebbe emergere un segnale chiaro sulla corsa alle elezioni politiche.
Insieme o divisi, è questa la scelta che devono prendere Letta e Calenda. Se correranno insieme allora ci saranno maggiori possibilità di fronteggiare la prevista valanga del centrodestra, stando agli ultimi sondaggi. Una corsa separata consegnerà invece un quadro politico ancora più disarticolato, con un terzo polo a trazione centrista che rischierebbe di togliere voti cruciali e quindi parlamentari all’area progressista.
Calenda, eletto dal PD in questa legislatura, ha posto due condizioni imprescindibili. Nessun candidato nei collegi uninominali, dove si corre sotto un solo nome, che sia divisivo e abbia votato contro il governo Draghi e ricerca di una base comune per un programma condiviso. L’agenzia di analisi di dati Youtrend calcola che, sul piano numerico, una corsa separata porterebbe alla perdita di 16 collegi uninominali, mentre il PD teme che siano 20-25. L’obiettivo della segreteria PD è di unire tutte le anime del centrosinistra, dai liberali alle forze riformiste a quelle civiche per non regalare voti alla destra putiniana, come ha detto Emma Bonino. Secondo Calenda queste aree di rappresentanza politica nascondono sacche di resistenza sui temi che hanno caratterizzato la cosiddetta agenda Draghi.
A sinistra sono in pesante ritardo e i sondaggi dicono che il distacco è ampio, ogni giorno perso significa un recupero più difficile. Lo scenario che si prospetta, più vicino a una rissa da saloon che a un approccio inclusivo predicato da più parti, è di spianare la strada a una vittoria a valanga del centrodestra.
Valerio Fabbri