Non trova pace l'Armenia dopo la pesante sconfitta subita l'autunno scorso nella guerra con l'Azerbaijan per il controllo della regione contesa del Nagorno Karabakh. Giovedì scorso, il premier Nikol Pashinyan, contestato dall'opposizione per la gestione disastrosa del conflitto, ha chiamato i suoi sostenitori in piazza dopo aver denunciato un supposto tentativo di colpo di stato da parte delle forze armate.
In seguito all'ennesima polemica sulle responsabilità della sconfitta, i vertici dell'esercito avevano infatti invitato il primo ministro a dimettersi: una posizione che Pashinyan ha denunciato pubblicamente come tentato golpe militare.
Circa 20mila persone hanno risposto alla sua chiamata, radunandosi nella piazza centrale di Yerevan, mentre non lontano si teneva una manifestazione dell'opposizione, che dalla fine della guerra a inizio novembre protesta ininterrottamente contro il governo e chiede elezioni anticipate.
Per molti armeni la firma dell'armistizio da parte di Pashinyan ha sancito una vera e propria umiliazione nazionale. Dopo sei settimane di scontri, costati la vita a circa 6mila persone, l'Armenia ha di fatto riconosciuto la sconfitta, restituendo all'Azerbaijan il controllo di buona parte dei territori intorno al Nagorno Karabakh che aveva occupato negli anni '90, tra cui la città strategica di Shushi.
La sorte del Nagorno Karabakh stesso - regione separatista armena in territorio azero - resta in dubbio. Con il cessate il fuoco, facilitato da Mosca, nella regione sono ora dispiegati circa duemila peacekeeper russi, incaricati di garantire il rispetto degli accordi.
Francesco Martino