La Serbia si propone sempre di più come hub delle vaccinazioni anti-Covid nei Balcani: nei giorni scorsi il presidente Aleksandar Vucic ha annunciato che entro giugno partirà la produzione in larga scala del vaccino russo Sputnik V, per coprire le necessità interne ma anche esportare in altri paesi della regione.
La prima fase - quella necessaria a testare le capacità produttive serbe - è già iniziata nell'Istituto di virologia Torlak di Belgrado. Dopo una visita al centro Vučić ha dichiarato che l'obiettivo è arrivare a 20-30 milioni di dosi l'anno, trasformando la Serbia in uno dei poli di sviluppo e realizzazione di vaccini in Europa.
A inizio marzo Belgrado aveva già annunciato il lancio della produzione del vaccino cinese Sinopharm, attraverso un accordo che, insieme ai partner di Pechino, coinvolge anche gli Emirati Arabi Uniti - con un nuovo stabilimento in Serbia che dovrebbe realizzare le prime dosi entro il prossimo ottobre.
La Serbia tenta quindi imporsi come centro regionale di produzione dei vaccini attraverso la stessa politica multivettoriale - rivolta sia a Oriente che a Occidente - che ha permesso al paese di diventare uno dei leader europei nella campagna vaccinale.
Grazie all'accesso ai vaccini occidentali, come Pfizer e AstraZeneca, insieme al russo Sputnik V e a quelli cinesi, il sistema sanitario serbo non solo è già riuscito a somministrare tre milioni di dosi ai propri cittadini, ma anche a donare larghi quantitativi all'estero e ad aprire i propri centri vaccinali a migliaia di persone dei paesi vicini.
Francesco Martino
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