Un commando ha ucciso il governatore della regione di Amhara, nel nord del paese, e più tardi nella capitale Addis Abeba il capo di stato maggiore dell'esercito nazionale, generale Mekonnen, è stato ucciso dalla sua guardia del corpo.
Il premier Ahmed alla televisione nazionale ha confermato che è stato sventato un colpo di stato, che gli esecutori sono stati arrestati e che la sicurezza del paese non è a rischio, ma nessuna conferma è stata data sui mandanti.
A muovere le fila del tentato colpo di stato sarebbe stato il capo delle forze della sicurezza Tsige, pure lui ucciso dalle forze governative in uno scontro a fuoco, che aveva incoraggiato la popolazione locale ad armarsi. L'obiettivo era di formare delle milizie per riprendere possesso della regione del Tigray. Tsige era un militare di lungo corso, conosciuto per la sua grande brama di potere e responsabile già in passato di un altro fallito golpe. Arrestato e condannato a 9 anni di carcere nel 2018 era stato liberato grazie a un'amnistia concessa dall'ex presidente Desalegn.
Nelle scorse settimane alcuni vertici militari e politici si sono schierati contro il premier Ahmed accusandolo di voler limitare l'autonomia locale. Per evitare l'insurrezione Ahmed era pronto a sostituire Tsige il quale, venuto a conoscenza del fatto, ha giocato il tutto per tutto. Si tratta della terza volta in 14 mesi che il premier è vittima di trame di palazzo o attentati. Il nuovo fallito golpe è l'ulteriore conferma di come l'esercito etiope continui a rappresentare un complesso puzzle etnico, e rappresenta uno dei rischi maggiori per la stabilità nazionale, resa già difficile dalle dispute per la gestione delle terre tra gli 80 gruppi etnici, uno scontro che ha già causato 3 milioni di sfollati interni.
Franco de Stefani