Ci sono voluti dodici anni, ma domenica 20 dicembre i cittadini di Mostar, in Bosnia Erzegovina, potranno finalmente tornare a votare nelle elezioni amministrative per eleggere sindaco e rappresentati degli organi locali.
Per molti dei 100mila elettori della città, ancora profondamente divisa dal conflitto degli anni '90 tra croati e bosgnacchi, si tratterà quindi delle prime elezioni locali: le ultime si erano infatti tenute nel lontano 2008.
Due anni dopo però, nel 2010, uno scontro politico aveva portato all'impasse: i partiti croati avevano fatto ricorso sul sistema di ripartizione dei voti, che avrebbe avvantaggiato gli elettori bosgnacchi. Ricorso accettato dalla Corte costituzionale, che ha azzerato anche lo Statuto della città.
Da allora, i due principali partiti etno-nazionali, il croato HDZ e il bosgnacco SDA, hanno ingaggiato un estenuante maratona di negoziati per arrivare a nuove regole elettorali, senza però riuscire a trovare un accordo.
A segnare una svolta, dopo anni di tentennamenti e fumate nere, è stato un nuovo ricorso presentato alla Corte europea dei diritti dell'uomo dall'attivista Irma Baralija, che denunciava il mancato svolgimento delle elezioni comunali a Mostar come fragrante violazione dei propri diritti umani.
Nell'ottobre 2019 la corte le ha dato ragione, dando poi sei mesi ai politici bosniaci per trovare una soluzione. La pressione internazionale ha avuto infine successo e oggi i cittadini di Mostar si vedono restituito il diritto a votare, anche se le linee della divisione e della contrapposizione etnica continuano ad attraversare in profondità la città sul fiume Neretva.
Francesco Martino
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