A incidere positivamente sulle statistiche è stata l'Africa subsahariana, dove il numero degli Stati abolizionisti è salito a 20. Per Amnesty International non è comunque il "momento di abbassare la guardia". Attualmente nel mondo ci sono ancora 21mila 919 prigionieri nel braccio della morte. Nel 2017 le esecuzioni sono state 993, il 39 per cento in meno rispetto al 2015. I paesi dove ci sono stati più morti sono, nell'ordine: Cina, Iran, Arabia Saudita, Iraq e Pakistan. I paesi ad aver abolito la pena di morte sono stati 142, ma ci sono anche Stati che hanno fatto passi indietro, come la Palestina, Singapore e la Somalia, dove le esecuzioni sono quasi raddoppiate.Amnesty International ha sottolineato che nel 2017 i maggiori passi in avanti alla lotta globale per abolire la pena capitale sono stati compiuti in Africa subsahariana, dove si è registrato un significativo decremento delle condanne a morte. Sempre in questa regione la Guinea è diventata il 20esimo stato abolizionista per tutti i reati, il Kenya ha cancellato l'obbligo di imporre la pena di morte per omicidio e Burkina Faso e Ciad si stanno avviando a introdurre nuove leggi o a modificare quelle in vigore per abrogare la pena capitale. Il segretario generale di Amnesty International, Salil Shetty, ha affermato che i progressi dell'Africa subsahariana rafforzano la posizione della regione come faro di speranza e fanno auspicare che l'abolizione di questa estrema sanzione, crudele, inumana e degradante sia in vista.Oltre alla Guinea, nel 2017 la Mongolia si è aggiunta al totale degli stati abolizionisti, il cui numero alla fine dell'anno era salito a 106. Dopo che il Guatemala ha abrogato la pena di morte per i reati comuni, il numero degli stati che per legge o nella pratica hanno abolito la pena di morte è salito a 142. Negli ultimi 40 anni abbiamo assistito a mutamenti positivi rispetto all'uso globale della pena di morte, ma occorrono altre misure urgenti per fermare l'orribile pratica dell'omicidio di stato, ha inoltre sottolineato Shetty precisando che la pena di morte è il sintomo di una cultura di violenza, non la soluzione per fermarla.