Si sono moltiplicate negli ultimi giorni le notizie di un massiccio ridispiegamento di truppe russe non lontano dal confine con l'Ucraina, con video rimbalzati sui social-media che mostrano lunghe colonne di mezzi corazzati in marcia lungo le strade della Federazione russa.
La mossa ha messo in fibrillazione sia le autorità ucraine che i partner occidentali di Kiev: nei giorni scorsi la cancelliera tedesca Angela Merkel ha chiesto al presidente russo Vladimir Putin di fare un passo indietro durante una lunga conversazione telefonica, mentre sia l'Unione europea che la Nato hanno rinnovato il proprio sostegno all'Ucraina, parlando di "provocazioni" da parte di Mosca.
La Russia, da parte sua, ha ribadito il diritto di muovere liberamente le sue truppe all'interno del proprio territorio e di difendere la popolazione russofona dell'Ucraina orientale in caso di un riesplodere del conflitto iniziato nel 2014 e che ha già provocato almeno 14mila vittime. Dmitry Kozak, capo negoziatore russo nei rapporti con Kiev, ha parlato di rischio genocidio, citando esplicitamente i massacri di Srebrenica nel 1995.
Per le autorità ucraine, però, sono soltanto scuse con cui Mosca si prepara a giustificare una possibile aggressione, dopo che nelle settimane scorse il numero di violazioni dell'ultimo cessate il fuoco - firmato lo scorso luglio - è salito esponenzialmente.
Il rischio di una nuova escalation militare è evidente: tutti chiamano alla calma, ma la nuova crisi sottolinea ancora una volta l'incapacità di risolvere il conflitto russo-ucraino sul tavolo delle trattative.
Francesco Martino
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