Il fragile equilibrio raggiunto lungo la frontiera israelo-libanese è stato nuovamente messo a dura prova dai recenti scontri. Le parti in causa si accusano reciprocamente di aver violato il cessate il fuoco temporaneo annunciato due giorni fa, provocando un circolo vizioso di violenze che rischia di compromettere la stabilità dell'intera regione. L'incidente che ha innescato l'ultima escalation è avvenuto quando l'aviazione israeliana ha condotto un raid aereo contro una struttura che, secondo le autorità di Tel Aviv, viene utilizzata da Hezbollah per immagazzinare missili a medio raggio. Tale azione militare, giustificata come una misura preventiva volta a scongiurare un imminente attacco terroristico, ha suscitato forti proteste da parte del Libano e delle organizzazioni internazionali. L'esercito libanese ha smentito categoricamente le accuse di Tel Aviv di aver violato per primo il cessate il fuoco, denunciando al contrario i ripetuti attacchi subiti e quelli contro i civili. Il Premier Netanyahu ha minacciato una risposta militare più incisiva in caso di ulteriori provocazioni da parte di Hezbollah: “se la tregua sarà violata dai miliziani sciiti, altro che operazioni chirurgiche come stiamo facendo ora” Nel frattempo i civili, ormai oltre 16.500 da ottobre, sono stati invitati a prestare la massima attenzione e a evitare le zone di confine, considerate pericolose. Di fronte all’aggravarsi della situazione, la comunità internazionale ha lanciato un appello pressante affinché le parti coinvolte esercitino la massima moderazione, rispettino gli accordi di cessate il fuoco e garantiscano l'accesso umanitario alla popolazione civile, al fine di prevenire ulteriori sofferenze.
Alessia Mitar